De André: non critica ma pasticciaccio

 


 

È deludente dover prendere atto, e per due volte nello spazio di un paio di giorni, dell'esigua capacità analitica sconfinata in grossolana maldicenza da parte di un cronista che pare, ma non ne sarei così sicuro, abbia assistito alle mie esibizioni cagliaritane. Il signor Cadeddu è indubbiamente un uomo coraggioso al punto da porsi in controtendenza all'intera critica nazionale: e chissà dove l'avrebbe condotto tanta leonina baldanza se un fastidioso rumor d'applausi e di entusiasmo da parte di più di tremila persone non fossero intervenuti a farne fischiare i freni.

Cosi, citando a caso, oserei dire florilegiando dall'opulento repertorio di rasposi cigolii letterari del suddetto empirico corsivista, mi attraversa gli occhi la seguente affermazione: «... il tono dello spettacolo, in calo solo durante l'esibizione di Cristiano quando ha eseguito tre brani propri e quando lo stesso (sarei io) ha riproposto da «Crueza de ma» dei pezzi in genovese. Fortunatamente ho l'abitudine di conservare le registrazioni di ogni spettacolo e sono quindi in grado di dimostrare che tra le canzoni più applaudite dell'intera performance risaltano proprio «Nel bene e nel male» eseguita da mio figlio, Creuza de ma e Sidún. Cito ancora dal Cadeddu: «Nella breve esibizione di «Sa die» De André ha detto le stesso cose... e persino nella scaletta ha rispettato, brano per brano, l'ordine del disco «Anime salve»; e qui Cadeddu riesce ad essere persino commovente nella sua premeditata volontà di nuocere. Nel concerto al palasport ho forse parlato di piemontesi, di mia nonna astigiana, della determinazione del popolo sardo nel cacciare gli invasori, di quell'altra etnia così lontana e tanto più sfortunata, aggredita e quasi sterminata da ben più cruente tracotanze? E se nel tentativo di spiegare una canzone complessa come «Disamistade» ho detto le stesse cose, non ho fatto altro che fornire l'identica spiegazione dell'identico racconto. Si comportano forse diversamente gli insegnanti di matematica, filosofia, italiano e latino? Danno forse spiegazioni diverse ad ogni occasione gli scrittori che compiono il periplo di università e librerie per spiegare al pubblico i loro lavori? Ma dove Cadeddu raggiunge l'apice del proprio acume critico è quando pretenderebbe di farmi cambiare l'ordine dei brani eseguiti: una sequenza emozionale studiata per mesi e mesi e riprodotta dal vivo così com'è sul disco proprio a dimostrazione che attraverso prove estenuanti si possono raggiungere in concerto gli stessi, e talvolta migliori risultati di quelli che si ottengono in sala di registrazione con l'ausilio di sofisticati congegni elettronici.

Comincio a stancarmi, ma continuo a citare dal Cadeddu che pare ricordarsi, evidentemente in una «pausa» di disattenzione, il mio commento sulla lingua sarda che a lui è dovuta apparire come un'affermazione delinquenziale «la lingua sarda, a differenza di altri idiomi locali, una vera lingua». Non mi ricordo, ma mi propongo di riascoltare ancora la registrazione, di aver aggiunto il termine «bellissima» che invece sono sicuro di aver usato definendo il vocabolo «disamistade». A questo punto ce ne sarebbe a sufficienza per consigliare al signor Cadeddu di azzardare una serena passeggiata tra i sentieri muschiosi della cronaca rosa e di lasciare in pace la musica cantata.

Ma dopo le imprecisioni, le affermazioni distorsive del vero, le sciocchezze atte a porre in evidenza la carenza di cognizioni specifiche sulla preparazione e lo svolgimento di un concerto di musica popolare da parte dell'addetto stampa, quest'ultimo ha la facciatosta di arrivare anche agli insulti e agli insulti sono solito rispondere con altrettanta sentita villania.

Il signor Cadeddu non può impunemente affermare che il sottoscritto «furbeggia» perché il sottoscritto gli può rispondere che lui «cazzeggia» sulla carta stampata danneggiando non solo chi incorra nella sventura di leggerlo ma anche chi svolge scrupolosamente il proprio lavoro da oltre trent'anni.

Il signor Cadeddu non può accusarmi di «logorrea» quando i miei interventi parlati, atti a fornire un minimo di spiegazione sulle tematiche fondamentali di almeno due album concept, si sono limitati a poco più di quindici minuti e ciò all'interno di un concerto durato tre ore. Il signor Cadeddu non può dire o scrivere quasi nulla dal momento che ha dimostrato: 1°) o di non aver ascoltato il disco «Anime salve».

2°) o di essersi distratto durante l'esibizione di quella splendida flautista che risponde al nome di Michela Calabrese.

3°) o infine, fatto di assoluta gravità per chi voglia fregiarsi del titolo di critico musicale, di non saper contare le misure di una partitura.

Riporto qui di seguito l'analisi del sontuoso esperto: «Nel brano "Le acciughe fanno il pallone" il flauto di Michela Calabrese fa una coda più lunga (sic!)» - questo afferma il Cadeddu, laddove le misure di quella canzone nel finale sono identiche nel concerto come nel disco: casomai, se proprio avessi deciso di allungare la cadenza del brano non sarebbe stato compito di Michela eseguirla dal momento che il flauto a fine canzone si limita a contrappuntare in intervalli irregolari, l'assolo di «Turkisa trumpet» eseguito da Paolo Bressan. Per quanto riguarda infine la mia partecipazione al concerto di «Sa die», sono arrivato nello spiazzo sottostante il palco un quarto d'ora prima dell'inizio del concerto accompagnato da due terrificanti gorilla; la dottoressa che a partire dal concerto di Sassari mi ha praticato alle corde vocali infiltrazioni di un'orribile mistura di adrenalina e cortisone, e dalla feroce e terribile signora Ester Paglia, mia road manager e nota manganellatrice: ho avuto appena il tempo di abbracciare Elena Ledda e Riccardo Tesi e di firmare una ventina di foglietti per i collezionisti di autografi: sono quindi salito sul palco, ne sono ridisceso alla fine dell'intervento e sono andato a cena, scortato lungo le scale da due avvenenti poliziotte da me peraltro non richieste. Ma lei, signor Cadeddu, che si permette di darmi della «star» e di sproloquiare su «alcune esagerazioni divistiche», lei dove diavolo era? Non fosse per il fatto che ciò rappresenterebbe una spiacevole seccatura per me e per lei una immediata risonanza, mi sentirei in dovere di querelarla. Mi limiterò, per il momento, a suggerire a lei l'uso di quella «captatio benevolenziae» di cui grossolanamente ed inverosimilmente mi accusa; cerchi di attrarre l'attenzione dei suoi lettori evitando innanzi tutto di estendere sciocchezze e tentando di praticare, nei suoi interminabili momenti liberi, uno strumento musicale a sua insindacabile scelta. Per quanto mi riguarda non mi pare di aver bisogno di ammiccamenti di sorta, consapevole di non aver mai eluso i miei compiti e i miei doveri, naturalmente entro i limiti delle mie discutibilissime capacità.

       FABRIZIO DE ANDRÈ

 

Posso solo rispondere che c'ero. Sia al Bastione che al Palazzetto dello sport. Per il resto, quante parole e quanto livore per un cronista perdigiorno. Giuro che da un mostro sacro come De André non mi sarei mai aspettato tanta attenzione. Evidentemente sono davvero in controtendenza. (p. c.)

 

Sul concerto di De André ha preso posizione anche l'organizzazione Sardinia Jazz, che si è sentita offesa dalle accuse del cantautore nel corso del concerto: L'organizzazione aveva predisposto due concerti da tenersi il 22 e 23 aprile. Il managemente di De André ha deciso di annullarle comunicandolo prima alla stampa che all'organizzazione. Lo stesso managemente ci ha proposto (e siamo stati costretti ad accettare) di unificare le due date in un solo giorno. Detto ciò, non possiamo esimerci dal far rilevare la nostra grande amarezza per l'atteggiamento tenuto da De André nei confronti di coloro che da tre mesi lavorano per organizzare il concerto. Teniamo a ricordare che tutte le decisioni prese sono state concordate con il suo management e regolarmente riportate in un contratto.

* Questo articolo è stato gentilmente fornito da Antonello Picci