Posso dire di conoscere Fabrizio de André da sempre: compagno dei miei viaggi interminabili in macchina quando ero bambina: lo ascoltavo deliziata dalla voce calda e profonda, che mi dava un senso di pace; dei testi non capivo molto, anzi praticamente nulla, non sapevo che cosa fosse "il mestiere né che esistesse "chi l'amore lo fa per noia, chi se lo sceglie per professione"... mi attiravano però alcune di quelle storie, di cui conservo ancora poche immagini vivissime, come quella del principe della "Canzone di Marinella", biondo, con un cappello bianchissimo, il mantello rosso, che si staglia su un cielo pieno di stelle, con un ruscello che scorre gorgogliando in lontananza.

Amo molto la musica, ma delle canzoni in genere mi colpisce la melodia, non i testi. Forse è proprio questo il grande merito di De André, di saper creare melodie che catturano l'orecchio dell'ascoltatore e non soffocano il testo, ma lo impreziosiscono, suggerendo alla mente immagini che completano il significato delle parole; è un uso sapiente del colore, delle luci e delle ombre, che completano la perfezione del disegno, che fa di un quadro un capolavoro. A volte ritmi allegri accompagnano testi così crudi da essere quasi macabri, esaltando per contrasto l'assurdità delle situazioni, o mitigando le impressioni troppo forti... parole e musica, insomma, si compenetrano perfettamente, suggerendosi a vicenda. Dei testi non ho ancora parlato, proprio perché sono l'aspetto più importante, a mio avviso della produzione di De André: sono poesie senza tempo, da cui si traggono ogni volta emozioni diverse. Sono parole preziose, scandite e pronunciate senza fretta, che riempiono l'aria e poi rimangono nella mente, fanno pensare e capire.

L'aspetto più importante della produzione di questo grande artista è un grandissimo senso d'umanità, d'amore e rispetto per l'Uomo, chiunque sia: uomini di tutti i generi, spesso dannati, prostitute, ma anche santi ed eroi: per tutti c'è pietà, ma soprattutto "compassione": nessuno è giudicato, tutti sono soltanto ritratti e capiti. Sono i sentimenti che li rendono tutti uguali, la capacità d'amare, di soffrire, la voglia di vivere e sopravvivere; su tutti incombe la figura della Morte, l'eterno arbitro delle fortune umane. È un tema ricorrente di tutta la produzione, si sente incombere, ma non è mai una presenza macabra o terrificante: è una compagna degli uomini, una "livella" che arriva alla fine della vita, ricompensa i giusti e condanna gli ingiusti all'oblio o alla disperazione. Chi sono dunque i giusti? "Quelli che han vissuto con la coscienza pura: l'Inferno esiste solo per chi ne ha paura... " (Preghiera in Gennaio). Tra tutti spicca la figura di Gesù, che "forse non fu altri che un uomo, come dio passato alla storia", ma un uomo che, secondo De André, merita rispetto e ammirazione. Fu forse il primo grande anarchico della storia, un uomo che fece dell'amore e della libertà la propria bandiera, coerente fino alla morte.

Se altrove parla contro la religione di stato che condanna i poveri per asservirli al regime, De André dedica alla storia dell'Uomo Gesù un intero album, un capolavoro: "La Buona Novella". Protagonista dell'album è anche Maria, una madre bambina dipinta con estrema dolcezza: in "Via della Croce" piange ai piedi della croce, accanto alle madri dei ladroni: "Piango di lui ciò che mi è tolto/ le braccia magre, la fronte il volto...", "... non fossi stato figlio di Dio,/ ti avrei ancora per figlio mio": è un dolore umano, straziante, eterno. La pietà di tutti va anche ai due compagni di agonia, i due Ladroni: uno dei due recita in punto di morte "Il Testamento di Tito", una lucida condanna dell'applicazione cieca di una religione dura e spietata, che l'ha condannato a morire, ma l'ultima strofa del brano è un messaggio di amore "Io nel vedere quest'uomo che muore/ madre io provo dolore: nella pietà che non cede al rancore/, madre ho imparato l'amore". Gli altri "eroi" di De André sono figure molto diverse, spesso non sono martiri né Santi, ma semplicemente uomini poveri e liberi.

L'eroe di "Non al denaro, non all'amore, né al cielo" è il suonatore Jones, un uomo libero, morto "con tanti ricordi, e nemmeno un rimpianto". I "mostri" sono gli ipocriti, i bigotti, ma soprattutto i mercanti di morte, "i generali che si fregiarono nelle battaglie con cimiteri di croci sul petto". La condanna della guerra va di pari passo con quella delle ideologie: morire per mano dei propri simili è sempre un'assurdità, è una morte ingiusta, senza motivo "Ma lei che lo amava/ aspettava il ritorno/ di un soldato vivo/ di un eroe morto/ che ne farà?", "La guerra di Piero", "la ballata di Michè"; c'è anche chi muore per delle idee e "se c'è una cosa amara, desolante/ è quella di capire all'ultimo momento/ che l'idea giusta era un'altra..." (Morire per delle idee). Meglio allora vivere una vita tranquilla, meglio non credere ai grandi eroi: gli Uomini sono tutti uguali, come insegna una divertente parodia di Carlo Martello in "Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers". Forse i veri eroi sono quelle come "Bocca di Rosa", che dona amore e felicità all'intero paese, o la ragazza di "Via del Campo", nascosta dietro le tende del suo appartamento.

                        

                                    Lilia Boeri