PRIME CONCERTI: Antiche e nuove emozioni nel recital di De Andrè al Palazzetto di Cagliari

Fabrizio, carisma e nostalgia

 

"Anime salve" e l'entusiasmo per i bis dei pezzi "storici"


Il colpo d'occhio dai corridoi dietro le tribune è grandioso: una folla che brulica di sotto in attesa dell'evento, di quel concerto annunciato qualche settimana fa e poi rimandato per motivi di salute. Fabrizio De Andrè è ancora acciaccato («Ho la gola a quadretti» dice) e per questo motivo il giorno prima, temendo l'umidità, non ha voluto chiudere il concerto di Sa Die al Bastione. Ma alle sue amate sigarette non rinuncia, nonostante la fastidiosa tracheite che lo costringe a tossire spesso ma che musicalmente «ha un unico vantaggio, rende la voce doppia, col bordone: come le launeddas».

Per il resto il cantautore appare in forma, un po' appesantito ma di ottimo umore: lancia frecciate di tanto in tanto, bacchetta gli organizzatori ma anche individui isolati (ad uno che fischiava ha detto: «Ti parte la dentiera») riuscendo ad essere, specie nella prima parte del concerto, fin troppo didascalico. Spiega, parla, ironizza, furbeggia. Su tutto: il lusso della solitudine, vietato a vecchi e malati («E ai politici, un politico solo è un politico fottuto»), il nichilismo («Una condizione spirituale: in Russia i nichilisti si suicidavano dopo aver commesso un assassinio, solo così spezzavano la catena»), la disamistade che come fonema è preferibile ad un teutonico "faida", la musica anglo americana («Nel 1984 decisi di non ascoltarla più, perché brutta e incomprensibile»), la lingua italiana («Ormai buona per vendere lo stoccafisso e per litigare nei tribunali») e quella sarda, manco a dirlo bellissima e vera. Per quanto il tono professorale di uno che conciona dal palco possa infastidire, la sensazione più netta è un'altra: che tanta logorrea risponda ad esigenze di copione ed a una "captatio benevolentiae" del pubblico. Nella pur breve esibizione per Sa Die De Andrè ha detto esattamente le stesse cose (compresa la presentazione di Cristiano De Andrè: «Un grandissimo talento che casualmente porta il mio nome») e persino nella scaletta ha rispettato, brano per brano, l'ordine del disco Anime salve.

Anche nel riproporre i brani dal vivo dell'ultimo album l'aspetto calligrafico è quello che si nota di più. Certo, la voce di Fossati è sostituita da quella di Cristiano e in Le acciughe fanno il pallone il flauto di Michela Calabrese fa una coda più lunga ma, in generale, la lettura è molto, troppo aderente, al formato su disco a discapito del pathos che un concerto di queste proporzioni deve avere. De Andrè però ha carisma e mestiere a sufficienza per tenere comunque il tono dello spettacolo, in calo solo durante l'esibizione di Cristiano che ha eseguito tre brani propri e quando lo stesso ha riproposto da Creuza de ma dei pezzi in genovese.

Il clou si raggiunge subito dopo, quando arrivano i pezzi "storici" («Forse - dice - in omaggio alla mia età venerabile»): bastano due accordi per scatenare l'urlo del pubblico che si trasforma in coro sulle note di La guerra di Piero. Le emozioni percorrono in lungo e in largo il Palazzetto. Il cantautore dell'Agnata sa pizzicare le corde giuste: «Questa la vogliamo dedicare a quella povera ragazza che degli imbecilli criminali tengono sequestrata». È Hotel Supramonte, seguita dalla debole luce di centinaia di accendini nella semioscurità e dal ballo che accompagnerà Bocca di rosa, probabilmente la canzone più amata dal pubblico.

Fioccano le richieste: Il gorilla, Carlo Martello, Avventura a Durango. Qualche fortunato viene accontentato: ecco nel bis Storia di Marinella, Fiume Sand Creek e Via del Campo. A mezzanotte lo show sembra concluso, un'apoteosi di applausi richiama De Andrè. A gesti Fabrizio spiega che la voce ha ormai dato forfait (ma dietro il palco c'è sempre una sigaretta in attesa, due tirate e via) e comunque c'è ancora il tempo per qualche brano: Il pescatore, nella versione elettrica che ci fece conoscere ai tempi del tour con la "Premiata Forneria Marconi" e che trascina il pubblico in una danza collettiva.

Il pubblico (3200 i biglietti staccati, meno di Sassari, con 3500) risponde con entusiasmo alla generosità del cantautore genovese. Nonostante l'afa, la calca e alcuni teli (poi rimossi) che ai "poveracci" ai lati del palco impediscono persino la vista, a parte la pessima acustica.

      PINO CADEDDU

* Questo articolo è stato gentilmente fornito da Antonello Picci