In morte di Fabrizio De Andre'
(Requiem per un libertario)

Fabrizio, fratello, cantore degli umili e degli oppressi, non sei morto,
non ci ha lasciato, perche', immortale, resti in noi con il tuo canto;
resti in noi con i tuoi ideali di giustizia e di libertà, di pace e di
amore che sono anche i nostri ideali - eterni ideali dell'Umanita'.

La tua vita è stata quella di uomo semplice e umile; di un uomo
sensibile e schivo; di un uomo che non amava apparire o esibirsi.
L'etichetta di anarchico oggi, in occasione della morte, ti viene
appiccicata con troppa faciloneria e con sospetto fervore, forse
anche da chi e' interessato a usare questo appellativo nella sua
valenza negativa, per sminuire la tua arte - che e', e resta al di
sopra di ogni parte politica, patrimonio di tutti gli uomini. Dico
questo, conoscendo la malvagita' dei prostituti del potere, convinto
che in questo momento, e non soltanto in questo, per quel che ti
riguarda, l'appellativo di anarchico sia fuori luogo. Soprattutto e' un
falso storico. Tanto piu' sapendo che con l'anarchismo settario e
grezzo non hai mai avuto a che fare, e che il movimento anarchico
"ufficiale" e "parrocchiale" ti ha snobbato in vita - quasi che un
uomo della tua levatura e sensibilita', con i tuoi ideali e la coerenza
di averli vissuti nella pratica, tu che appartenevi e appartieni a tutti
gli uomini del mondo, avessi bisogno di meschini riconoscimenti di parte.

Tu, fratello istrangiu, ti sei fatto sardo. E in questa nostra Terra hai
voluto vivere, a contatto della natura - che e' il vero rifugio di ogni
libertario, che e' la vera fonte di ispirazione per ogni poeta.
Tu, poeta cantore, hai voluto fare il contadino: come Tolstoj, come
uno dei massimi padri del libertarismo moderno.
Come contadino, a contatto con i contadini (che il potere definisce
rozzi e ignoranti), tu, sulle orme del grande Tolstoj, hai affinato la tua
arte e maturato la tua ideologia.  Una ideologia che e' propria, nelle
linee essenziali, della cultura contadina. Che si puo' cosi'
sintetizzare. Il naturalismo: l'uomo e' migliore se respinge le
manifestazioni artificiose della civilta' e vive in un rapporto organico
con il mondo della natura; il populismo: la fede nel popolo, nell'uomo
senza potere, che aspira alla realizzazione di una societa' senza
imposizioni, egalitaria, fatta a misura d'uomo; il solidarismo: la
fratellanza universale, "non tanto mi unisco quanto sono unito con
altri uomini in un unico corpo di credenti"; e infine, la sfiducia nel
mito del progresso: quello imposto dal potere con lo sfruttamento e con l'assassinio.

Sei stato un grande amico della Sardegna, una Terra che di amici
sinceri e disinteressati ne ha sempre avuto pochi. Hai saputo capire
e amare la Gente sarda. Hai capito - piu' che perdonato, perche' il
perdono comprende una colpa che tu non hai mai voluto attribuire -
assolvendo i banditi che ti sequestrarono. Li hai assolti per amore di
una Umanita' oppressa e sfruttata. Queste sono le parole che hai
detto e che sono state scritte su quella drammatica esperienza:
"Quando ho affermato, (…) che i miei rapitori sono i veri
sequestrati, esprimevo una mia valutazione politica, c'e' un
riferimento che va oltre quelle persone, per significare la situazione
di oppressione e sfruttamento coloniale in cui sono tenuti i lavoratori sardi".

Ti sei battuto coerentemente contro la guerra, contro la violenza - ne
fanno testimonianza alcune delle tue canzoni più belle, come "La
guerra di Piero" e "Il fiume Sand Creek". Canzoni che sono
diventate canti di pace, inni di sublime difesa del diritto all'esistenza
delle minoranze etniche. La sacralita' della vita e' la chiave di volta
della ideologia che fin da giovane professavi e che hai portato avanti
con coraggio e coerenza esemplari, in un mondo di pseudo
intellettuali e di pseudo artisti, miserabili opportunisti, che senza
pudore si prostituiscono al potere - nero o bianco o rosso che sia.

Di recente, riesumando la storia del movimento anarchico in Russia,
all'inizio di questo secolo, hai voluto dare una interessante
interpretazione del suicidio espiatorio rituale degli anarchici
nichilisti, che seguiva la soppressione del tiranno: per un libertario
uccidere e' il delitto piu' esecrabile che si possa commettere,
perche' sacra è la vita di ogni uomo. Tuttavia il tiranno, che incatena
e opprime e soffoca tutta una comunita', in quanto tale, va eliminato.
E allora il nichilista-giustiziere, compiuto il necessario, seppur
gravissimo atto liberatorio e di giustizia, si trovava nella dolorosa e
triste situazione di chi per eliminare il tiranno uccide l'uomo,
venendo meno a un proprio fondamentale principio, macchiandosi
di una colpa che doveva necessariamente espiare. Da qui il rituale
suicidio. O ancor peggio, per espiare la colpa di un delitto, fosse
pure compiuto in stato di necessita', egli si consegnava nelle mani
della polizia zarista, ben sapendo che sarebbe stato torturato e che
scempio sarebbe stato fatto del suo corpo.

Tu, cantore degli oppressi e dei deboli, non potevi non essere a
fianco di chi nella nostra Isola levava la sua voce per chiedere il
proprio diritto a esistere come popolo. Nella storia dei movimenti di
liberazione della Sardegna e' stata singolare e rimarchevole la tua
adesione, partecipando il 16 maggio del 1982 a Nuoro, in occasione
del Convegno dei Movimenti Anticolonialisti, che ha dato vita a
Sardinna e Libertade.  La presenza di esponenti del mondo della
cultura e dell'arte, la tua presenza in particolare, e' stata un
elemento di forte richiamo per una piu' ampia adesione popolare, al
fine di dar vita a un movimento per l'indipendenza della Sardegna.

"Le tue canzoni sono lontane dal potere" e' stato intelligentemente
notato e scritto, citando un tuo vecchio e ripetuto concetto:. "Le
parole del potere non possono essere le stesse dei poeti.
Appartengono a due mondi distanti… due mondi che e' meglio che restino staccati"
Cosi' pure il migliore Sartre, il quale sosteneva che, come l'artista,
l'intellettuale "non va mai a braccetto con il potere". Mentre oggi,
assistiamo all'indecoroso spettacolo di scienziati e di poeti, di
scrittori e di musicisti che si iscrivono ai partiti, che si fanno
eleggere in Parlamento, prostituendo la loro conoscenza e la loro arte, per foia di potere.
Tu, Fabrizio, fratello carissimo, non sei mai sceso a compromessi,
non ti sei mai chinato davanti al potere, e per questo ti ho amato.
Perche' sapevi, come so, che un intellettuale, uno scienziato, un
artista degno di questo nome, non puo' mai essere con il potere, in
quanto egli rappresenta ed e' la Coscienza dell'Uomo, e percio'
stesso rappresenta della Umanità oppressa e umiliata la volonta' di
riscatto, l'ansia di liberazione.

La scelta dell'idea libertaria, della valutazione negativa del potere, la
tua scelta, in sostanza, e' una scelta d'amore. Il potere, in quanto
nega la liberta' dell'individuo, privilegiando la coercizione della legge,
e' la negazione stessa dell'amore, che si puo' vivere e godere
soltanto senza coercizioni, nella pienezza della liberta'. L'amore
porta sempre con se' la negazione del potere: e' un principio
fondamentale proprio anche del primo, del vero Cristianesimo.

Per questa scelta di vita, nella tua voce, Fabrizio, testimone e
cantore del nostro tempo, c'e' la struggente malinconia dell'artista
che sa vedere la realta' con "occhi rotondi", che porta dentro di se'
la tristezza per la ingiustizia, per la violenza, e insieme contiene tutto
l'amore che anima l'umanita', la radiosa voglia di creare e di vivere -
opposta alla cupa voglia di distruzione e di morte.

In tutti questi anni ci siamo visti poche volte e poche volte ci siamo
sentiti, fratello amatissimo. Ne ricordo due, entrambe importanti,
nella mia vita. La tua presenza affettuosa al telefono, nel 1984,
quand'ero ricoverato in ospedale a Verona, con il cuore stanco,
deluso, che voleva fermarsi; e un incontro, di recente, poco piu' di
un anno fa, in occasione del tuo ultimo concerto a Cagliari.
Desideravi che presenziassi al tuo spettacolo, desideravi avermi
vicino, sotto il palco. Vi andai, seppure ridotto in una carrozzina. E
fu in quella occasione che mi chiamasti, pubblicamente, tuo maestro
di ideale e di vita. Non mi vergogno a dire, oggi, pubblicamente, che
ho pianto di commozione a quelle parole - parole le tue che mi
ripagavano di tutto il male che per le mie idee mi e' stato fatto, da
quella miserabile genia di piccoli uomini, che vivono di potere e in
funzione del potere. Con quelle tue parole di elogio, fratello, tu hai
voluto liberarmi dall'isolamento in cui viene costretto l'eretico.

E ancora ti dico, come altre volte, Fabrizio, che soltanto
apparentemente gli uomini sono soli. Perche' quando si sono
incontrati veramente, continuano a restare insieme anche dopo che
si sono separati. Il loro percorso e' già segnato dall'ideale che
professano e dallo scopo che si prefiggono. Sono e resteranno
sempre assieme, perché ciascuno di essi percorre la propria strada
alla luce degli stessi valori e delle stesse idee, verso la stessa meta:
la liberazione dell'uomo.
E cosi', come tu dicevi e dicevo, ci sono amici che si vedono poco,
eppure sono sempre vicini, fianco a fianco; e quando ci si rivede e'
come se ci si fosse appena lasciati.  Perche' cio' che veramente
unisce gli uomini non e' l'interesse o l'opportunita', e neppure
l'appartenenza allo stesso partito o alla stessa parrocchia, che e'
come dire allo stesso branco, ma e' la fratellanza che si cementa
nella comunione di un ideale di amore, di liberta', di giustizia.

Ugo Dessy

L'11 gennaio 1999