Premessa

"Le canzoni, anche quelle brutte, servono a conservare la memoria del passato, più della musica colta, per quanto sia bella". Così scriveva Marcel Proust nella sua più grande e importante opera: La ricerca del tempo perduto; e lo ha riecheggiato un bravo giornalista dei nostri tempi, Enzo Biagi: la canzone è un’insostituibile testimone dell’epoca in cui nasce. Proust è del parere che nelle canzoni sia possibile intravedere qualcosa del "tempo perduto" perché vi risiede l’immaginario della gente, fatto di sentimenti e di aspettative.

E’ partendo da questo assunto che ho visto come la canzone porti con sé un bagaglio immenso di storia, costumi, tradizioni, sogni, aspirazioni e letteratura. Ed è proprio di quest’ultimo aspetto che si occuperà il mio lavoro, cioè degli "echi letterari" rintracciabili nei testi di un particolare "filone" della canzone italiana, quello dei "cantautori". Ho riscontrato come nei testi dei cantautori italiani, soprattutto in quelli di De André, Guccini e De Gregori, vi sia una grande abbondanza di reminiscenze letterarie, e come questi artisti, dotati di una straordinaria cultura e di un grande senso critico, abbiano attinto al vastissimo panorama letterario, italiano e non, riuscendo ad assimilarlo, capirlo e rielaborarlo in maniera critica, fantasiosa, eccentrica, ma soprattutto "artistica", al di fuori delle letture critiche dei saggisti o degli studiosi "ufficiali". Questi cantautori non attingono solo ad una determinata corrente letteraria, o solo nel campo della poesia o del romanzo; non leggono solo autori italiani o solo autori stranieri, non hanno una tesi da dimostrare o una lezione, una morale o una politica da perseguire, ma vanno alla ricerca di una propria verità interiore che spesso essi stessi dichiarano di non essere riusciti a trovare. Esprimono delle contraddizioni, sollevano dubbi, si pongono delle domande critiche alle quali spesso non danno risposte certe, poiché nessuno di loro può darne senza cadere nei totalitarismi, nei dogmi o nei pregiudizi che essi tanto rifiutano. Questo loro modo di procedere, affondando le proprie radici nella letteratura, fa delle loro canzoni degli "insaccati" e di loro dei "maiali", animale che lo stesso Guccini ha preso ad esempio per spiegare il suo rapporto con la letteratura in una mia intervista. "Dai tanto cibo al maiale – dice il cantautore modenese – e poi quando fai il prosciutto […] non sai più quale cibo fosse quel prosciutto. […] Trovi un patrimonio che adoperi inconsciamente". Scopo di questo lavoro sarà dunque rintracciare proprio questi vari elementi assimilati, digeriti e riproposti in altra forma e con diversi obiettivi. Come in De André sarà forte la presenza di Villon, Lee Masters, Baudelair ecc., in Guccini troverò Cyrano de Bergerac, Gozzano e i crepuscolari, in De Gregori Pasolini, Montale, Pavese, Eliot e altri.

Aprirò la mia ricerca con un breve excursus storico che andrà dalla nascita dei primi cantautori della "scuola genovese" (Paoli, Tenco, Bindi, Ciampi ecc.) fino alla continuazione del loro cammino operata da De Andrè, Guccini e De Gregori. Analizzerò brevemente il periodo storico ed i fermenti musicali degli anni ’50 e ’60: la diffusione della radio, la nascita ufficiale, nel ’54, della televisione con i suoi primi programmi musicali, le prime riviste che si occupano di musica, la diffusione anche in Italia del juke-box e del 45 giri (nato in America nel 1949 per iniziativa della Rca) e la successiva nascita di festival musicali importanti ancora oggi come il Festival di S. Remo, (1950), lo Zecchino d’oro, (1959), il Festivalbar e il Disco per l’estate (1964), nati per iniziativa di Vittorio Salvetti, che riuscirà a sfruttare nel migliore dei modi il più congeniale dei mezzi di diffusione del disco che è il juke-box, l’aumento vertiginoso nella vendita di dischi e l’introduzione anche in Italia nel ’59 della hit parade, la classifica provvisoria dei dischi più venduti, pubblicata inizialmente dalla rivista Il musichiere e successivamente da Teletutto, poi da Sorrisi e Canzoni e infine da Musica e dischi.

Spesso, quando la critica si è occupata esclusivamente dei testi delle canzoni, si è aperta una polemica tendente a dimostrare se e quanto il testo possa essere o no indipendente dalla musica e se possa essere considerato poesia. Eviterò di proposito tale diatriba partendo da ciò che un autorevole cantautore come Guccini afferma: "le canzoni non sono né poesia né musica, sono canzoni, hanno cioè una loro specificità artistica e una loro precisa dignità". Ma ciò non esclude che il testo possa essere studiato indipendentemente dalla musica e che possa essere rintracciata in esso una forte qualità letteraria e una vasta presenza di ascendenti letterari. Osserviamo come proprio con la nascita dei cantautori la parola in musica, rispetto alla tradizione, ha conosciuto una svolta o una rivoluzione non solo nei testi, ma anche nei costumi e nell’immaginario nazionale. Possiamo indicare come data di questa svolta il 31 gennaio del 1958, quando la canzone Nel blu, dipinto di blu, di Domenico Modugno vince il Festival di Sanremo. La mia ricerca si appunterà poi sulla "scuola genovese", su De André, che veniva spesso censurato alla radio, su Guccini, grande contestatore, per poi finire col "moderno ermetismo" del romano Francesco De Gregori. Questi cantautori, con la loro cultura, con la forza dei loro versi, con gli "echi letterari" rintracciabili nelle loro canzoni, hanno coinvolto personaggi della politica, della scuola, della critica letteraria e di gran parte della cultura italiana, ed hanno inoltre agito fortemente sulla formazione di almeno due generazioni, invogliando spesso masse di giovani studenti ad approfondire lo studio di poeti, romanzieri e scrittori cosiddetti "ufficiali"; dialogando con loro a mezzo della loro propria opera, ma anche con pittori, registi o fumettisti, hanno coltivato la contaminazione letteraria come esperienza personale di ricerca e conoscenza di sé.