E. Lee Masters (Antologia di Spoon River) – De André (Non al denaro, non all’amore, né al cielo).

L’ Antologia di Spoon River, di Edgar Lee Masters, è una raccolta di poesie sotto forma di epitaffi. Ogni epitaffio racconta del defunto in un momento particolarmente significativo della propria vita, un momento rappresentativo della reale essenza del suo animo, in modo che, tutti insieme, diventano simbolo della condizione dell’uomo. Il discorso è fatto in prima persona dal defunto, che rivela quelle verità che nella morte può raccontare con estrema sincerità perché non ha più niente da pensare e che in vita ha dovuto nascondere, parlando così come non è mai stato capace di fare prima e facendo venire a galla il tema dell’incomunicabilità. Questi personaggi sono uomini e donne di tutte le classi sociali, rappresentano quasi tutti i mestieri, persone che hanno fatto del bene o del male, belli e brutti, onesti e disonesti. Sono il microcosmo di una piccola città di campagna che può benissimo rappresentare il macrocosmo, la storia del mondo intero, dato che il bene ed il male sono categorie universali dell’umano. I personaggi di Lee Masters sono 244 e 19 delle loro storie sono sviluppate in ritratti intrecciati. L’antologia venne stampata per la prima volta nell’aprile del 1915 e nell’estate dello stesso anno era citata e parodiata in tutta l’America e in Inghilterra. L’Antologia era lo specchio di un mondo che aveva perso la dimensione collettiva del senso della vita, la dimensione comune del senso dell’esistere, per cui gli uomini erano destinati a consumarsi in piccole tragedie personali. De André coglie benissimo lo spirito di quest’opera e la adatta ai suoi tempi, quelli dell’Italia del 1970. Era un’Italia votata alla competizione tra i singoli, il boom economico del decennio precedente, il modello di società capitalista portavano il singolo a misurarsi continuamente con gli altri, ad imitarli o superarli per arrivare a possedere ciò che l’altro non aveva. In un clima del genere il sentimento umano più diffuso è facile che sia l’invidia. E proprio il filone dell’invidia, nell’opera di Lee Masters, sarà quello scelto da De André per le sue nove canzoni, insieme a quello della scienza. Sceglie anche quest’ultimo perché la scienza è per lui un prodotto del progresso, che è nelle mani dello stesso potere che genera l’invidia e che non è ancora riuscita a risolvere i problemi esistenziali. Quindi la scienza come luogo del contrasto tra l’aspirazione del ricercatore e la repressione del sistema. Questi temi, secondo De André, erano stati trattati così bene dai personaggi e dalle storie di Lee Masters, che sarebbe stato inutile per lui inventarne di nuovi, bastava solo adattarli alla realtà italiana. Al filone dell’invidia appartengono: Un matto, tratto dall’epitaffio di Frank Drummer; Un blasfemo, ispirato al personaggio di Wendell P. Bloyd; Un giudice, che risponde al nome di Selah Lively; Un malato di cuore, che in Lee Masters è Francis Turner. Al filone della scienza sono legate le canzoni di: Un chimico, Trainor il Farmacista; Un medico, il dottor Siegfried Iseman, Un ottico, l’ottico Dippold. Le storie ed i personaggi narrati, De André li racchiude in due epigrafi, una iniziale e l’altra finale, che sono La collina, tratta da The hill, con la quale sia Lee Masters che De André aprono le rispettive opere, e Il suonatore Jones, tratto da Fiddler Jones. Con Jones De André chiude, in chiave quasi autobiografica la sua raccolta, affidandogli il messaggio dell’album, che è quello di essere disponibili alla vita dedicandola alla ricerca della libertà come unico modo per darle un senso. Così la vita sarà pura come un ballo di campagna, una melodia di violino o un ricordo di giovinezza.

La prima cosa da dire per aprire il confronto tra i due autori è che se Lee Mastrers aveva usato il verso libero, De André preferisce strofe dai versi ritmati o fortemente assonanti, spesso ricchi di un linguaggio a tratti brutale "un nano è una carogna di sicuro/ perché ha il cuore troppo vicino al buco del culo". Ma, fatto questo breve esempio, passerò subito al confronto tra i testi.

La collina

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,

il debole di volontà, il forte di braccia, il buffone,

l’ubriacone, l’attaccabrighe?

Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno morì di febbre,

uno bruciato in miniera,

uno ucciso in una rissa,

uno morì in prigione,

uno cadde da un ponte mentre faticava per moglie e figli –

tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina… (Lee Masters)

Dove se n’è andato Elmer

Che di febbre si lasciò morire,

dov’è Herman bruciato in miniera.

Dove sono Bert e Tom,

il primo ucciso in una rissa

e l’altro che uscì già morto di galera.

E cosa ne sarà di Charley

Che cadde mentre lavorava

E dal ponte volò e volò sulla strada.

Dormono, dormono sulla collina… (De André)

Qui i riferimenti sono fin troppo chiari, persino i nomi dei personaggi sono rimasti invariati, come invariata è la causa della loro morte. Ciò che De André varia è l’ordine nel quale inserisce le cause delle morti: in Lee Masters è messa in successione corrispondente all’ordine dei nomi solo dopo che ha introdotto i tratti fondamentali del carattere dei personaggi; in De André invece la causa della morte è rivelata subito dopo il nome dei personaggi, dei quali mancano, però, i tratti caratteriali. Continua Lee Masters:

…Dove sono Ella, Kate, Mag, Lizzie e Edith,

il cuore tenero, l’anima semplice, la chiassosa, la superba, l’allegrona? –

tutte, tutte, dormono sulla collina.

Una morì di parto clandestino,

una di amore contrastato,

una fra le mani di un bruto in un bordello,

una di orgoglio infranto, inseguendo il desiderio del cuore,

una dopo una vita lontano a Londra e Parigi

fu riportata nel suo piccolo spazio accanto a Ella e Kata e Mag –

tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina… (Lee Masters)

Dove sono Ella e Kate

Morte entrambe per errore

Una di aborto, l’altra d’amore.

E Maggie uccisa in un bordello

Dalle carezze d’un animale

E Edith consumata da uno strano male.

E Lizzie che inseguì la vita

Lontano, e dall’Inghilterra

Fu riportata in questo palmo di terra.

Dormono, dormono sulla collina… ( De André)

Anche qui si ripropone la stessa situazione dei versi precedenti, con De André che opera solo per Ella e Kate una piccolissima differenza: le nomina, come Lee Masters, una dopo l’altra e ne spiega la morte, accomunandole per il fatto che entrambe le morti sono considerate, pur nella loro diversità, un errore.

Continua poi la processione funebre di Lee Masters con dei morti di guerra, che De André riprende in chiave chiaramente antimilitarista:

Dove sono zio Isaac e zia Emily,

e il vecchioTowny Kincaid e Sevigne Houghto,

e il maggiore Walker che aveva parlato

con i venerandi uomini della rivoluzione? –

tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.

Li portano figli morti in guerra,

e figlie che la vita aveva spezzato,

e i loro orfani, in lacrime –

tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina… (Lee Masters)

Dove sono i generali

Che si fregiarono nelle battaglie

Con cimiteri di croci sul petto,

dove i figli della guerra

partiti per un ideale

per una truffa, per un amore finito male:

hanno rimandato a casa

le loro spoglie nelle bandiere

legate strette perché sembrassero intere…

Dormono, dormono sulla collina (De André)

In questi versi De André elimina i nomi dei personaggi, soprattutto quello degli zii, per attirare maggiormente l’attenzione sui generali e sull’aspetto militare delle vicende. Aggiunge i versi "…con cimiteri di croci sul petto…", "…i figli della guerra/ partiti per un ideale/ per una truffa…", che mancano in Lee Masters, per evidenziare il suo antimilitarismo. Poi entrambi chiudono la propria opera con un ricordo del suonatore Jones che è il simbolo della bellezza del vivere, l’unico che ha dato un senso alla vita, dedicandola alla ricerca di una libertà immateriale, che è giunto a novant’anni infischiandosene di Dio, del denaro e dell’amore, ma che si è goduto la vita tra suonate, balli e compagni ubriachi, abbandonando i suoi campi alle erbacce.

Dov’è il veccho Jones, il violinista

Che giocò per novant’anni con la vita,

sfidando il nevischio a petto nudo,

bevendo, schiamazzando, infischiandosi di moglie e parenti,

e danaro, e amore, e cielo?

Eccolo! Ciancia delle sagre di pesce fritto di tanti anni fa,

delle corse dei cavalli di tanti anni fa a Clary’s Grove,

di ciò che Abe Lincoln disse

una volta a Springfield. (Lee Masters)

Dov’è Jones il suonatore

Che fu sorpreso dai suoi novant’anni

E con la vita avrebbe ancora giocato.

Lui che offrì la faccia al vento,

la gola al vino e mai un pensiero

non al denaro, non all’amore, né al cielo.

Lui sì, sembra di sentirlo

Cianciare ancora delle porcate

Mangiate in strada nelle ore sbagliate,

sembra di sentirlo ancora

dire al mercante di liquore

Tu che lo vendi, cosa ti compri di migliore? – (De André)

Qui Lee Masters parla di Jones come un suonatore di violino, mentre De André omette questo particolare, poiché per ragioni metriche lo farà diventare, nella canzone interamente dedicata a lui, un suonatore di flauto. Ma per entrambi gli autori il ricordo di Jones è così forte che sembra ancora di sentirlo parlare di mangiate, bevute e corse di cavalli.

La seconda canzone dell’album di De André è Un matto, ispirata alla vicenda di Frank Drummer. È quella più corta tra le poesie di Lee Masters, quindi quella in cui di più De Andrè ci mette di suo. Ma se Lee Masters si limita a fare una breve accenno a ciò che è stato, De André ci chiede di immaginare la situazione nella quale si trova il protagonista e inserisce il tema del sogno.

… Non avevo le parole per dire cosa mi si agitasse dentro,

e il villaggio mi prese per idiota.

Eppure l’idea iniziale era chiara,

un disegno grandioso e assillante nell’anima

che mi spinse all’impresa di imparare a memoria

l’Enciclopedia Britannica! (Lee Masters)

Tu prova ad avere un mondo nel cuore

e non riesci ad esprimerlo con le parole,

e la luce del giorno si divide la piazza

tra un villaggio che ride e te, lo scemo che passa,

e neppure la notte ti lascia da solo:

gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro. […]

io cercai di imparare la Treccani a memoria,

e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,

continuarono gli altri fino a leggermi matto (De André)

In entrambi i casi l’idea del protagonista è quella di un riscatto personale (mosso dall’invidia), che lo spinge alla ricerca di uno studio così approfondito da farlo impazzire.

Il terzo brano, Un giudice, è la storia de Il giudice Selah Lively, basso di statura, che spesso, per questo motivo, è burlato dai suoi concittadini e che ha fatto vita da subalterno prima come garzone da bottega, poi studiando legge e frequentando la chiesa, per poi diventare prima legale di un "cercatore di tesori terreni" e infine, finalmente, giudice di contea. Dalla breve esposizione della sua vita si capisce che ciò che lo spinge è l’invidia, il rancore verso tutti quelli che lo hanno umiliato e che lui per vendetta, raggiunto il potere, umilierà.

Immaginate d’essere alto un metro e cinquantotto… […]

E che tutto il tempo

Vi burlino per la statura, e vi scherniscano… (Lee Masters)

Cosa vuol dire avere

Un metro e mezzo di statura,

ve lo rivelan gli occhi

e le battute della gente,

o la curiosità

di una ragazza irriverente

che vi avvicina solo

per un suo dubbio impertinente:

vuole scoprir se è vero

quanto si dice intorno ai nani,

che siano i più forniti

della virtù meno apparente

fra tutte le virtù

la più indecente… (De André)

Qui Lee Masters si limita a lasciarci immaginare la siruazione del "nano", mentre De André ci dice che quella situazione ce la rivelano "le battute della gente,/ o la curiosità/ d’una ragazza irriverente…", tutti tendenti a ridicolizzare la statura o a vederla in una improbabile relazione di proporzioni col sesso, unica cosa forse "apprezzabile" da chi disprezza il nano ("…è una carogna di sicuro/ perché ha il cuore troppo/ troppo vicino al buco del culo").

… studiando legge al lume di candela,

fino a diventare avvocato.

E immaginate che grazie al vostro zelo,

e all’assidua frequentazione della chiesa,

siete diventato il legale di Thomas Rhodes…[…]

infine siete diventato giudice di contea. (Lee Masters)

Fu nelle notti insonni

vegliate al lume del rancore

che preparai gli esami,

diventai procuratore,

per imboccar la strada

che dalle panche di una cattedrale

porta alla sacrestia

quindi alla cattedra di un tribunale,

giudice finalmente,

arbitro in terra del bene e del male… (De André)

In queste strofe è evidenziato il rancore del futuro giudice, il sentimento di rivalsa che lo spinge a studiare per arrivare al potere. Segue poi il suo comportamento da giudice, che è il risultato diretto dell’invidia che lo ha spinto. Da giudice, "diventa una carogna perché la gente carogna lo fa diventare carogna: è un parto della carogneria generale. Questa definizione è una specie di emblema della cattiveria della gente".

…Infine siete divenuto giudice di contea.

E Jefferson Howard e Kinsey Keene

e Harmon Whitney e tutti quei giganti

che vi avevano beffato, sono costretti

alla sbarra a dire "Vostro Onore" -

be’, non vi pare giusto

che gliel’abbia fatta pagare? (Lee Masters)

…E allora la mia statura

Non dispensò più buonumore

A chi alla sbarra in piedi

Mi diceva "Vostro Onore",

e di affidarli al boia

fu un piacere del tutto mio,

prima di genuflettermi

nell’ora dell’addio,

non conoscendo affatto

la statura di Dio. (De André)

In queste ultime strofe De André elimina ancora una volta i nomi dei personaggi che in Lee Masters si erano beffati del protagonista, mettendo in evidenza il capovolgimento dei ruoli: se prima era lui a "dispensare buonumore" agli altri, a causa della statura, ora invece si diverte nel condannarli e loro non hanno più voglia di divertirsi nello sbeffeggiarlo, perché sono troppo preoccupati ad attendere la sua sentenza, che può essere di morte. Se prima lo schernivano con spavalderia da "giganti" poi sono costretti a chiamarlo, con servilismo direi io, "Vostro Onore". Ma ciò non basta a salvar loro la vita.

La quarta canzone di De André è Un blasfemo, ispirata alla tragica vicenda di Wendell P. Bloyd. Nella poesia di Lee Masters che Wendell fosse in realtà blasfemo lo si capisce dalla sua vicenda, ma il termine non compare mai, mentre nella canzone di De André compare tre volte compreso il titolo. Wendell è una vittima dell’ottusità collettiva, un esegeta dell’invidia, di cui fa risalire l’origine a Dio, sia in Lee Masters che in De André. Sarà proprio questa la causa della sua morte, poiché verrà rinchiuso (in manicomio, nella poesia di Lee Masters, in prigione in quella di De André) e pestato da secondini bigotti. Ma se Lee Masters si era limitato alla vicenda del blasfemo ucciso dal bigottismo, De André inserisce un altro tema nella sua canzone, quello della mela proibita come simbolo di potere non nelle mani di Dio, ma in quelle del potere poliziesco. Quel potere che ha inventato il giardino incantato e costringe l’uomo a sognare dopo averlo staccato dalla realtà, a pensare secondo il proprio interesse. Perciò è facile capire che questa mela in realtà non è stata ancora rubata: "…E se furono due guardie a fermarmi la vita,/ è proprio qui sulla terra la mela proibita,/ e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato,/ ci costringe a sognare in un giardino incantato".

Prima mi accusarono per condotta molesta,

non essendoci leggi contro la bestemmia.

Poi mi rinchiusero in manicomio

e fui ammazzato di botte da un sorvegliante cattolico.

Il mio torto fu questo:

dissi che Dio mentì ad Adamo e lo destinò

a vivere una vita da sciocco,

ignaro del male come del bene del mondo.

E quando Adamo gabbò Dio mangiando la mela

e scoprì la menzogna,

Dio lo cacciò dall’Eden per impedirgli di cogliere

il frutto della vita immortale… (Lee Masters)

…Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino,

non avendo leggi per punire un blasfemo,

non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte,

mi cercarono l’anima a forza di botte

perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo,

lo costrinse a viaggiare una vita da scemo,

nel giardino incantato lo costrinse a sognare,

a ignorare che al mondo c’è il bene e c’è il male

Quando vide che l’uomo allungava le dita

A rubargli il mistero d’una mela proibita

Per paura che ormai non avesse padroni

Lo fermò con la morte, inventò le stagioni… (De André)

Si veda come in Lee Masters il motivo per il quale Wendell viene rinchiuso, pur non essendo il vero motivo, è quello di "condotta molesta". In De André la condotta molesta viene subito indicata con la frequentazione di "donne" e "vino", che ci rimanda a quel mondo di ubriachi, prostitute, disgraziati, che è il mondo dei suoi personaggi. Per entrambi invece, la causa della morte sono le botte di guardie "cattoliche" (per Lee Masters) o "bigotte" (per De André). Il motivo è, ancora per entrambi, il fatto che Wendell avesse affermato che Dio aveva imbrogliato il primo uomo, facendogli credere che tutto fosse "bene", destinandolo a condurre una vita da sciocco ignorando l’esistenza del male. Ma quando l'uomo ruba la mela, simbolo di conoscenza, tutto gli diventa chiaro ed esce dalla stupidità nella quale Dio l'aveva confinato. A questo punto Dio, per invidia, lo espelle dal Paradiso destinandolo a vita mortale. In Lee Masters però, Dio espelle l'uomo dal Paradiso perché teme che rubato il frutto della conoscenza possa rubare anche quello dell'immortalità. In De André invece il motivo è la paura di Dio nei confronti di un uomo che non ha più padroni perché ha mangiato il frutto della conoscenza che libera dall'ignoranza e dalla schiavitù. Da qui in poi De André introduce il tema assente in Lee Masters al quale ho già accennato, quello cioè di una mela proibita che in effetti non è mai stata rubata dall'Eden, poiché è ancora qui sulla terra protetta da un potere poliziesco che "ci costringe a sognare in un giardino incantato". Mentre Lee Masters si affanna a spiegare alla gente di "buon senso" l'invidia di Dio nei confronti dell'uomo.

…Ma, Cristo! voi gente di buon senso,

ecco cosa dice Dio stesso nel libro del Genesi: "E il Signore Iddio disse, ecco che l'uomo

è diventato come uno di noi" (un po' d'invidia,

vedete),

"a conoscere il bene e il male"… (Lee Masters).

…E se furono due guardie a fermarmi la vita,

è proprio qui sulla terra la mela proibita,

e non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato,

ci costringe a sognare in un giardino incantato. (De André).

La quinta canzone è quella che in De André chiude il ciclo dell'invidia: Un malato di cuore, ispirata alla poesia di Francis Turner. Qui l'invidia è risolta in modo positivo, perché il malato, pur essendo nelle condizioni ideali per essere invidioso, compie un gesto di coraggio scavalcando l'invidia perché a spingerlo è stata la forza dell'amore. Quindi rappresenta il trionfo sulla vita dato dalla capacità di amare, capacità che hanno solo i "disponibili". La poesia di Lee Masters è molto sintetica rispetto alla canzone di De André, che approfondisce di più le sensazioni del malato ed i ricordi della fanciullezza. Arriva ad affermare di non aver mai capito se il cuore gli si è fermato per il troppo sgomento o per la troppa felicità, e di essere invece sicuro di non aver chiesto promesse alla donna che stava con lui e di essere morto senza sapere se "…quelle sue cosce color madreperla/ rimasero forse un fiore non colto". Di una cosa il morto è certo: di averla baciata.

Da ragazzo

Non potevo correre né giocare.

(Lee Masters).

…Da ragazzo spiare i ragazzi giocare

al ritmo balordo del tuo cuore malato

e ti viene voglia di uscire e provare

che cosa ti manca per correre al prato,

e ti viene la voglia, e rimani a pensare

come diavolo fanno a riprendere fiato… (De André).

In questi versi iniziali Lee Masters racconta l'impossibilità del ragazzo a correre e a giocare, mentre De André descrive lo stesso ragazzo costretto a stare in casa e a guardare gli altri giocare, restando con la voglia di provare anche lui a correre e con l'incapacità a capire le differenze tra lui e gli altri, come mai lui resta senza fiato mentre gli altri continuano a correre.

…Da uomo potei solo sorseggiare dalla coppa,

non bere -

perché dopo la scarlattina m'era rimasto il cuore

malato… (Lee Masters).

…Da uomo avvertire il tempo sprecato

A farti narrare la vita dagli occhi

E mai poter bere alla coppa d'un fiato

Ma a piccoli sorsi interrotti… (De André)

In questi altri versi Lee Masters passa all'età adulta del personaggio, sempre segnata dalla malattia che lo costringe a comportarsi diversamente dagli altri anche nelle piccole cose di tutti i giorni, e ne spiega il motivo, cioè la scarlattina che gli ha lasciato il cuore malato. De André ne riprende l'esempio e aggiunge l'impressione, nel malato adulto, di avere sprecato il tempo della propria giovinezza e di ricordarlo solo in ciò che ha visto fare agli altri, ma che non ha potuto fare di persona, come il correre e il giocare degli altri bambini visti nei versi precedenti.

Eppure riposo qui

Consolato da un segreto che solo Mary conosce:

c'è un giardino di acacie,

di catalpe e di pergole dolci di viti -

là, quel pomeriggio di giugno

a fianco di Mary -

mentre la baciavo con l'anima sulle labbra

l'anima d'un tratto volò via. (Lee Masters).

…Eppure un sorriso io l'ho regalato[…]

quando io la guidai o fui forse guidato

a contarle i capelli con le mani sudate. […] quando il cuore stordì e ora no, non ricordo

se fu troppo sgomento o troppo felice[…]

e fra lo spettacolo dolce dell'erba […]

ma che la baciai, questo si lo ricordo,

col cuore ormai sulle labbra,

ma che la baciai, per dio sì, lo ricordo,

e il mio cuore le restò sulle labbra

E l'anima d'improvviso prese il volo

Ma non mi sento di sognare con loro… De André).

Nella parte finale della poesia Lee Masters racconta gli ultimi momenti del malato in un giardino, quando muore, per un probabile attacco di cuore "con l'anima sulle labbra", mentre bacia Mary. Anche De André lo fa, omettendo però il nome della ragazza, sostituendo il "giardino" di Lee Masters con "lo spettacolo dolce dell'erba" e inserendo il fatto di aver regalato un sorriso e di non riuscire a "sognare con loro". "Loro" potrebbero essere gli altri personaggi che nella vita sono stati spinti dall'invidia, mentre lui non ha invidiato nessuno nonostante l'handicap che si porta fin da bambino. È per questo motivo Francis Turner è in De André il personaggio positivo che risolve il tema dell'invidia contrapponendo a questa l'amore come trionfo della vita.

Da qui comincia in De André il filone della scienza, la quale, classico prodotto in mano a quel potere che genera l'invidia, dovrebbe risolvere i problemi esistenziali della gente comune, ma non c'è ancora riuscita. La prima canzone di questo filone è Un medico, ispirata alla vicenda de Il dottor Siegfried Iseman. Questo è un medico che vuole applicare la dottrina cristiana alla scienza, alla medicina. Vuole cioè curare con generosità e senza farsi pagare dai poveri e dai malati. Ma presto prenderà coscienza che senza farsi pagare non può vivere, e si vedrà costretto a inventare un elisir di giovinezza che lo farà condannare dal giudice federale alla galera.

Dissi, quando mi consegnarono il diploma,

dissi a me stesso sarò buono

e saggio e forte e generoso col prossimo;

dissi porterò la fede cristiana

nella pratica della medicina!… (Lee Masters).

Da bambino volevo guarire i ciliegi

quando rossi di frutti li credevo feriti […]

Un sogno, fu un sogno ma non durò poco,

per questo giurai che avrei fatto il dottore,

e non per un dio ma nemmeno per gioco […]

E quando dottore lo fui finalmente

Non volli tradire il bambino per l'uomo

E vennero in tanti e si chiamavano gente

Ciliegi malati in ogni stagione […] (De André)

È da notare come in Lee Masters ciò che spinge il dottore è la fede cristiana, Dio, mentre in De André è il sogno di un bambino, cioè un sentimento umano puro, poiché la fanciullezza è sinonimo di purezza. Ciò è da attribuire al fatto che De André, come abbiamo visto ne La buona novella, tende più che ad adorare un dio, a sperare nell'uomo: "laudate hominem" era la canzone con la quale chiudeva il disco precedente. Quindi ciò che spinge l'uomo è un sogno fatto da bambino e l'amore per i propri simili.

…Ma, non so come, il mondo e gli altri medici

Sentono subito cos'hai in mente quando prendi

Quest'eroica decisione.

E va a finire che ti prendono per fame.

Verranno da te solo i poveri.

E ti accorgi troppo tardi che fare il medico

È solo un modo per guadagnarsi da vivere.

E quando sei povero e devi tirare avanti

la fede cristiana e la moglie e i figli

tutti sulle tue spalle, è troppo! (Lee Masters).

…E i colleghi d'accordo, i colleghi contenti

Nel leggermi in cuore tanta voglia d'amare,

mi spedirono il meglio dei loro clienti

con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale:

ammalato di fame, incapace a pagare.

E allora capii, fui costretto a capire,

che fare il dottore è soltanto un mestiere,

che la scienza non puoi regalarla alla gente

se non vuoi ammalarti dell'identico male,

se non vuoi che il sistema ti pigli per fame…

E il sistema sicuro è pigliarti per fame

Nei tuoi figli, in tua moglie che ormai ti disprezza…(De André).

Qui i due autori sviluppano le conseguenze della decisione del dottore. Sia per Lee Masters che per De André, il dottore finisce per curare solo i poveri che non possono pagare e che gli spediscono gli altri dottori meno "amorevoli", arrivando al punto di essere disprezzato da moglie e figli e di ammalarsi dello stesso male: la povertà. A questo punto il dottore è costretto a prendere coscienza che il suo è un lavoro come tutti gli altri, un modo per guadagnarsi da vivere e non una missione che permette di regalare la scienza ai poveri per guarirli dai loro mali. Ma in De André è più marcato l'aspetto della scienza come strumento per il bene comune, ma che in effetti può permettersi solo chi paga, quindi strumento di potere in mano agli avidi, ai forti, che fanno di tutto perché resti tale. Infatti introduce quel verso che non ha un corrispondente vero e proprio in Lee Masters: "…che la scienza non puoi regalarla alla gente…".

…Ecco perché fabbricai l'elisir di giovinezza,

per cui finii in prigione a Peoria

marchiato come truffatore ed imbroglione

dall'integerrimo giudice federale! (Lee Masters).

…perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve,

l'etichetta diceva: elisir di giovinezza.

E un giudice, un giudice con la faccia da uomo

Mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione

Inutile al mondo ed alle mie dita,

bollato per sempre truffatore imbroglione,

dottor professor truffatore imbroglione. (De André).

Queste sono le conclusioni: il dottore si vede costretto a usare la scienza per sopravvivere, ma frustrato nella sua aspirazione umanitaria, lo fa in modo truffaldino procurandosi la galera impostagli da un giudice che, seppur "con la faccia da uomo", applica la legge senza un minimo di umanità e senza preoccuparsi di indagare nelle vicende umane e passate del condannato, che da generoso dottore dei poveri diventa truffatore e imbroglione di tutti i malati.

De André elimina il nome della prigione nella quale finisce il dottore, che era invece presente in Lee Masters, e aggiunge gli ingredienti con cui ha creato l'elisir e l'accenno al giudice con la faccia da uomo, per contrapporlo ai sentimenti poco umani dimostrati nei confronti di un uomo che umano lo era stato moltissimo.

La settima canzone del disco è Un chimico, ispirata all'epitaffio di Trainor, il farmacista. Nello stile che lo contraddistingue, Lee Masters è molto breve e sintetico, mentre De André si lascia andare, come nella canzone precedente, ad una serie di aggiunte e di riflessioni che mancano nell'Antologia di Spoon River. Ciò che manca in De André, ancora una volta, sono i nomi; sia quello del protagonista Trainor che quello dello sposo Bemjamin Pantier citati nell'epitaffio di Lee Masters. Ciò che è aggiunto è il riferimento al cadavere portato in collina, "fra i tanti a dar fosforo all'aria", con un riferimento alla vita come composto di sostanze chimiche. E ancora gli effetti dell'amore sui volti di uomini e donne innamorati, cose che non seguono nessuna legge scritta e che quindi il chimico non può capire: "…Guardate il sorriso, guardate il colore/ come giocan sul viso di chi cerca l'amore:/ ma lo stesso sorriso, lo stesso colore/ dove sono sul viso di chi ha avuto l'amore…". Per quanto riguarda le parti in cui si sente più forte l'eco di Lee Masters possiamo cominciare subito dall'esordio:

Solo un chimico può dirlo, e non sempre,

cosa risulterà dalla combinazione

di fluidi o di solidi.

E chi può dire

Come uomini e donne reagiranno

Insieme, e che figli ne usciranno?… (Lee Masters).

…Da chimico un giorno avevo il potere

Di sposare gli elementi e farli reagire,

ma gli uomini mai mi riuscì di capire

perché si combinassero attraverso l'amore.

Affidando ad un gioco la gioia e il dolore… (De André).

Possiamo vedere come De André usa il verbo "sposare" riferito agli elementi chimici, mentre in riferimento agli uomini usa "combinare". Probabilmente il suo fine è quello di avvicinare gli uomini, fatti anche di sostanze chimiche, agli elementi, ma evidenziando poi come si ottiene un risultato fallimentare se si pretende che questo fatto possa renderli classificabili e prevedibili come gli elementi della tavola Mendeleev. Tralasciando la parte intermedia della poesia di Lee Masters, nella quale si accenna ad una coppia di cui non parla De André, possiamo subito mettere a confronto le parti finali.

…Io, Trainor, il farmacista, mestatore di sostanze

chimiche,

morto in un esperimento,

vissi senza sposarmi. (Lee Masters).

…Ma guardate l'idrogeno tacere nel mare,

guardate l'ossigeno al suo fianco dormire:

soltanto una legge che io riesco a capire

ha potuto sposarli senza farli scoppiare.

Soltanto una legge che io riesco a capire.

Fui chimico e no, non mi volli sposare,

non sapevo con chi e chi avrei generato:

son morto in un esperimento sbagliato… (De André).

In questi ultimi versi Trainor rivela la sua professione, la causa della morte e il fatto di non essersi mai sposato, lasciandoci solo intuire il perché. Il chimico di De André invece si dilunga un po', spiega come l'idrogeno e l'ossigeno possano combinarsi (lui usa sposarsi) senza esplodere grazie a delle leggi certe della chimica che il farmacista conosce, mentre non si è potuto sposare perché non avrebbe potuto conoscere , in senso chimico, la moglie, né cosa sarebbe nato dalla loro combinazione. In entrambi i casi, sia il farmacista di Lee Masters che il chimico di De André, muoiono per un esperimento sbagliato, quasi a dire che in fondo nemmeno nella chimica vi sono delle leggi assolute e certe che l'uomo può conoscere senza possibilità di errori, o se ci sono non può certo conoscerle tutte, rivelando come la "scienza" in questo caso non ha portato nessun vantaggio esistenziale all' "uomo".

L'ottava canzone, Un ottico, è ispirata alla vicenda di Dippold l'ottico. Quest'uomo di scienza, come il medico di cui ho già parlato, vuole mettere le sue conoscenze a disposizione dell'umanità, ma mentre il primo lo faceva curando malattie, questo diventa una specie di spacciatore di luce. Monta ai suoi clienti delle lenti che alterano in modo creativo la realtà con lo scopo di trasformarla in luce, facendo in modo che si veda non ciò che è "dato" vedere, ma ciò che si vuole vedere reinventando la realtà, vivendola come meglio si crede. Qui la canzone di De André è molto diversa nel testo rispetto alla poesia di Lee Masters. Ad esempio nella seconda il cliente che va dall'ottico è uno solo. Prova ben dodici lenti diverse, ognuna delle quali dà diverse visioni, prima di scegliere appunto l'ultima. Lenti che procurano visioni che vanno da "….Globi di rosso, giallo, porpora…" a "….Cavalieri in armi, donne bellissime, visi delicati…" fino alla visione della dodicesima lente "…Luce, soltanto luce, che trasforma tutto il mondo/ sottostante in giocattolo…". Nella prima invece i clienti sono quattro. Anche questi hanno visioni differenti:

I cliente:

…Vedo che salgo a rubare il sole

Per non aver più notti

Perché non cada in reti di tramonti,

l'ho chiuso nei miei occhi,

e chi avrà freddo

lungo il mio sguardo si dovrà scaldare

II cliente:

Vedo i fiumi dentro le mie vene,

cercano il loro mare,

rompono gli argini,

trovano cieli da fotografare.

Sangue che scorre senza fantasia

Porta tumori di malinconia.

III cliente:

Vedo gendarmi pascolare donne

Chine sulla rugiada,

rosse le lingue al polline dei fiori

ma dov'è l'ape regina?

Forse è volata ai nidi dell'aurora,

forse è volata, forse più non vola.

IV cliente:

Vedo gli amici ancora sulla strada,

loro non hanno fretta,

rubano ancora al sonno l'allegria,

all'alba un po' di notte:

e poi la luce, luce che trasforma

il mondo in un giocattolo… (De André).

Qui l'eco di Lee Masters si sente esclusivamente nei contenuti, mentre per le visioni riportate c'è una totale differenza. Inoltre anche l'esordio è totalmente differente. Con Lee Masters si comincia con l'ottico che fa le domande al paziente:

Che cosa vede adesso?… (Lee Masters).

Con De André si vede l'ottico che parla come un venditore ambulante:

Daltonici ,presbiti, mendicanti di vista,

il mercante di luce, il vostro oculista,

ora vuole soltanto clienti speciali

che non sanno che farne di occhi normali.

Non più ottico, ma spacciatore di lenti,

per improvvisare occhi contenti,

perché le pupille abituate a copiare

inventino i mondi sui quali guardare.

Seguite con me questi occhi sognare,

fuggire dall'orbita, e non voler ritornare… (De André).

Si ha poi la conclusione che è quasi identica in entrambi gli autori:

…Luce, soltanto luce, che trasforma tutto il mondo

sottostante in giocattolo.

Benissimo, faremo gli occhiali così. (Lee Masters).

…e poi la luce, luce che trasforma

il mondo in un giocattolo.

Faremo gli occhiali così!

Faremo gli occhiali così! (De André).

La canzone che chiude l'album, Il suonatore Jones, è ispirata alla vita di Jones il violinista. Anche lui è un ricercatore, come il medico, il chimico, l'ottico e possiamo dire tutti gli altri personaggi dell'album. Ma mentre gli altri sono spinti alla ricerca da esigenze scientifiche o da invidia, Jones, insieme al malato di cuore, è il personaggio positivo, spinto alla ricerca della libertà attraverso la disponibilità alla vita e al divertimento puro. La sua disponibilità viene dal fatto che il suo tentativo non è quello di arricchirsi o vendicarsi, ma quello di fare ciò che più gli è congeniale, che gli piace e lo soddisfa, cioè suonare. Ama il gioco, la tavola e le donne e per queste cose muore povero ma libero e senza rimpianti. "Per Jones la musica non è un mestiere, un'alternativa: ridurla a un mestiere sarebbe come seppellire la libertà", così dichiarava De André in una intervista con Fernanda Pivano. Con queste parole il cantautore genovese dichiarava la sua ammirazione per il personaggio di Lee Masters ed allo stesso tempo affermava la difficoltà riscontrata nell'essersi calato nei suoi panni, dato che De André era un professionista della musica. Per questo seguiva immediatamente nell'intervista un'ardita dichiarazione d'intenti: "in questo momento non so dirti se non finirò prima o poi per seguire il suo - di Jones - esempio". Ma vediamo come De André si immedesima nella figura di Jones e quanto prende dalla poesia di Lee Masters.

…Per Cooney Potter una colonna di polvere

O un turbinio di foglie significavano rovinosa siccità;

a me sembrava di vedere Red-Head Sammy

quando ballava Toor-a-Loor da par suo… (Lee Masters).

In un vortice di polvere

Gli altri vedeva siccità, a me ricordava

La gonna di Jenny

In un ballo di tanti anni fa… (De André).

Vediamo come questa volta De André non elimina completamente i nomi che compaiono nella poesia di Lee Masters, come succedeva nelle altre. Qui ne lascia però uno solo, ma diverso da quello che nomina Jones. Sostituisce Cooney Potter, un altro personaggio dell'Antologia che contrariamente a quanto fa Jones si ammazza di lavoro nei campi, con "gli altri" e al posto di Red-Head Sammy inserisce Jenny. La filosofia di vita che spinge entrambi è la stessa: ciò che per un lavoratore come Cooney Potter rappresenta una tragedia per i campi ed il raccolto, per "i suonatori" è motivo di felice ricordo, naturalmente lontano dal lavoro.

…Come fare a coltivare i miei quaranta acri,

non parliamo di aumentarli,

con la ridda di corni, fagotti e ottavini

che cornacchie e pettirossi mi agitavano in capo,

e il cigolio d'un mulino a vento - vi par poco?

mai misi mano all'aratro in vita mia

senza che ci si mettesse di mezzo qualcuno

e mi trascinasse via a un ballo o a un picnic. (Lee Masters).

…Sentivo la mia terra

Vibrare di suoni,

era il mio cuore,

e allora pechè coltivarla ancora,

come pensarla migliore. […]

Libertà l'ho vista svegliarsi

Ogni volta che ho suonato,

per un fruscìo di ragazze

a un ballo,

per un compagno ubriaco… (De André).

In questi versi si vede come i protagonisti stanno sempre sulle spine quando sono per i campi, poiché per loro tutti i rumori della natura sono suoni che li spingono verso lo strumento, vera espressione della loro anima. Sono questi i versi che forse più degli altri, esprimono l'indole dei "suonatori". Tutto ciò è ancora più chiaro nella canzone di De André che sentendo i rumori della natura, pensando alla musica, si chiede perché restare ancora a coltivare la terra o addirittura a cercare di accrescerne i confini. Afferma quindi che la libertà non sta in quei campi, ma nella musica, quella suonata per una ragazza a un ballo o per un compagno ubriaco. A questo punto della canzone De André introduce dei versi che Lee Masters aveva invece messo quasi in apertura:

…E se la gente vede che sai suonare,

be', ti tocca suonare, per tutta la vita… (Lee Masters).

E poi se la gente sa,

e la gente lo sa che sai suonare,

suonare ti tocca

per tutta la vita

e ti piace lasciarti ascoltare… (De André).

I versi sono quasi identici, ma De André introduce quel "e ti piace lasciarti ascoltare", che manca in Lee Masters, proprio per sottolineare che per il suonatore l'essere trascinato e l'essere costretto a suonare in effetti non è un'imposizione ma un piacere, anche se questo piacere gli porterà conseguenze gravi per i campi e per il sostentamento.

…Finii coi miei quaranta acri;

finii col mio violino sgangherato -

e una risata rauca, e mille ricordi,

e neppure un rimpianto. (Lee Masters).

Finì con i campi alle ortiche,

finì con un flauto spezzato

e un ridere rauco

e ricordi tanti

e nemmeno un rimpianto. (De André).

Anche qui versi e contenuto sono quasi identici, cambia solo lo strumento, ma come ho già detto in precedenza è solo per esigenze metriche. Si chiude così l'album Non al denaro non all'amore né al cielo, con quello che è forse il personaggio nel quale più di ogni altro, si può riconoscere Fabrizio De André.