Il mio primo incontro con Fabrizio De Andrè...

Fu a metà degli anni '60, mia zia Caterina, detta Rinella, aveva acquistato un 45giri che aveva un titolo che ricordava il suo
soprannome: "La canzone di Marinella". Io avevo forse otto/nove anni e ascoltavo provenire dalla fonovaligia Geloso della zia quella canzone così affascinante... Ricordo che invece non mi piaceva "Valzer per un amore" e fu solo dopo qualche anno che riuscii a capire la "cattiveria" di quello che sembrava un innocuo valzer paesano: "ma non ti servirà il ricordo non ti servirà che per piangere il tuo rifiuto del mio amor che non tornerà"

Una cosa stranissima: ricordo che le prime volte che ascoltai "La canzone di Marinella" pensai che la ragazza fosse stata uccisa;
chiesi spiegazioni alla zia che mi disse "no, è solo scivolata nel fiume". Ma io, appassionato dei telefilm di Hitchcock come molti
altri in famiglia, non ero molto convinto... Pochi mesi fa in una intervista mi sorpresi moltissimo quando sentii  De Andrè raccontare che l'ispirazione per "La canzone di Marinella" gli era venuta leggendo su un giornale la notizia di una prostituta uccisa e gettata in un fiume...

In seguito gli LP di De Andrè mi vennero prestati da una amica che aveva un fratello più grande, appassionato di quelle intriganti canzoni. Ancora oggi penso a quei dischi ("Vol. 1", "Vol. 3", "Tutti morimmo a stento") che passavano di mano in mano incantando (quasi) tutti quelli che li ascoltavano; e le pessime condizioni dei solchi quando alla fine il "fratello grande" pretese la restituzione... Ricordo anche la fatica per registrare qualche cassetta con uno dei primi Philips K7, cercando di non far ascoltare quei testi così sconvenienti ai miei genitori. Ma potete immaginare che proprio per questa "segretezza" la passione per De Andrè andava aumentando sempre di più... Fino a quando, risparmiando qualche soldo, nel natale del 1970
finalmente mi regalai "Tutti morimmo a stento", il mio primo LP "da grande", non quei 45giri da hit-parade che mi ero potuto permettere fino ad allora. Ascoltare "Il cantico dei drogati" o "Inverno", o il "Recitativo" imparando tutti i testi a memoria mi dava i brividi e mi sembrava che quelle fossero canzoni davvero "importanti" lontane anni luce da quelle che ascoltavano molti compagni di classe, che impazzivano per Battisti, i DikDik o i Camaleonti. Ingenuamente mi sentivo "diverso" e coltivavo questo culto semiclandestino che potevo condividere con un'avanguardia di altri "pochi ma buoni".

Negli anni successivi, nonostante l'innamoramento per i Beatles, David Bowie, Lou Reed, King Crimson, Yes, Genesis, l'uscita di un nuovo disco di De Andrè era sempre un avvenimento atteso con ansia e le nuove canzoni immediatamente e con caparbietà imparate a memoria: "La buona novella" (con la prima copertina in tinta unita, tonalità ocra-oro), "Non al denaro, non all'amore né al cielo", "Storia di un impiegato"... La prima piccola delusione: "Vol. 8". Mi sembrò un disco più freddo
degli altri, forse più distante, troppo personale... ho impiegato un pò di tempo a capire e amare quel disco così introverso.

Poi anche in Italia arrivò quella "mazzata" chiamata prima Punk poi New Wave, ma io senza ritegno alternavo "Rimini" a "Anarchy in the U.K.", "Andrea" a "Psicho Killer", "Fiume Sand Creek" a "London Calling", ...

Ora la cosa triste è sapere che non potrò più attendere con eccitazione ed ansia l'uscita del "nuovo disco di De Andrè".

 

   Diego Cuoghi