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Di Fabrizio De Andrè cantante si parla dal 1958, quando incide il primo disco, "Nuvole Barocche". E' poco più che diciottenne e si affaccia su una ribalta in piena enfasi sanremese, quando gli idoli si chiamano Modugno, Pizzi, Villa, Dorelli, Celentano. Il suo debutto passa quasi inosservato. Si ascolta altra musica, altri testi, altri messaggi. Ma è comunque un esordio importante, significativo, in una carriera ormai quarantennale.

Genovese, di buona famiglia, De Andrè manifesta fin dall'adolescenza una propensione non brillante agli studi a scapito di una grande passione per la poesia e per la canzone. A sedici anni suona il jazz con la chitarra, scopre i pezzi americani, ma soprattutto quelli francesi, e traduce George Brassens.

Dopo il debutto discografico, per alcuni precoce, il matrimonio e la nascita del primogenito Cristiano. Una serie di lp banditi dalle classifiche, sistematicamente censurati per le loro crude tematiche, poi nel 1965 la svolta artistica. Mina scopre, tra gli innumerevoli brani scritti da De Andrè, "La canzone di Marinella" ed è il successo. Si diffonde la popolarità e inizia una carriera importante. Pezzi come "Via del Campo", "Il pescatore", "Bocca di rosa", assumono un ruolo storico nella tradizione della nostra musica,osannati dal pubblico più giovane e attento, quello che, tanto per intenderci, fuoriusciva dagli standard e dai cliché di quegli anni, abituato alle melense canzoncine tanto in voga. De Andrè è tra i primi ad accorgersi del mutare dei tempi e a fondare quella scuola che ha sfornato altri talenti, tutti grandi cantautori.

Negli anni Settanta traduce Bob Dylan e Leonard Cohen, mette in musica i Vangeli Apocrifi e L'Antologia di Spoon River. Sono gli anni di "Rimini" e della memorabile tournée con la PFM, l'ultima prima della decisione di ritirarsi in Sardegna dove vive uno dei momenti più tragici della sua vita, il rapimento con la sua compagna Dori Ghezzi. Quattro mesi nelle mani dell'Anonima e dalla terribile esperienza nasce "Hotel Supramonte", un disco diverso dal solito.

Nel 1984 l'incisione ritenuta all'unanimità dai critici  come una delle   produzioni più belle in assoluto  della nostra canzone, un 33 giri capolavoro, "Creuza de mä", cantato in genovese, una lingua rivelatasi nella circostanza musicalissima, con suggestioni a metà tra il francese e il portoghese e dal chiaro sapore di storie di mare. Dai solchi scaturisce un susseguirsi di emozioni che mettono in risalto la capacità di scrittura di questo poeta autentico.

Dopo sei anni esce "Nuvole" altro best-seller, guarda caso eletto miglior album del 1990.

La stessa sorte è toccata, dopo altri sei anni, ad "Anime Salve" .